lunedì 7 maggio 2007

Avreste mai creduto che ci sono grilli a Torino? E cantano, davvero.
Incredibile come il tempo passi in ogni angolo di mondo, quanto in fretta anche a San Salvario arrivi l'estate.

martedì 1 maggio 2007

Di nuovo qui...

Sono di nuovo qui; nel caso qualcuno avesse disperato e/o esultato, sono ancora qui. E' stato un lungo periodo di assenza, ma se Dio vuole è finito, e spero a lungo. Ogni cosa è tornata al suo posto, fuggita l'impressione di essere in un puzzle i cui pezzi si sono sparsi... un po' ovunque, a dire il vero.

Ma più si va lontano più è bello tornare a casa no? La mia, di casa, ha manifestato tutta la sua gioia nel rivedermi. Alice e Marta hanno reso ogni oggetto, ogni angolo caldo e pulito, accogliente, sorridente; loro stesse sono state calde e sorridenti. Persino Manuel è tornato dalla Spagna, per le vacanze di primavera, a suo dire, ma io so che non è così.

Mi dispiace di avere scordato quanto fossi fortunato tempo addietro, e di averlo scritto qui; pensavo di cancellare il post, ma ho deciso di non farlo. Che mi serva di lezione per ricordare quanto so essere ingrato...

Cari blogamici, Gea, Alessandra, Mara e tutti gli altri... mi siete mancati.
E, cosa importante, come vanno le vostre vite?

Nuovamente, a presto.

martedì 27 febbraio 2007

C'est la vie.

Rassegnarsi. Cito il dizionario: accettare con animo umile e paziente qualcosa di doloroso e di inevitabile. Con animo umile e paziente, lui dice, e non posso che trovarmi d'accordo. L'animo paziente subentra sempre alla rabbia, quando si smette di lottare e si capisce che ormai combattere non ha più senso, che non c'è più ragione di sperare.

Che non c'è più forza di sperare.

"Rassegnazione" non è sinonimo di "accettazione." Forse in quel caso viene a mancare l'animo umile e paziente, forse in quel caso la definizione sarà "con animo sereno."

Ma cosa c'è oltre la rassegnazione? Oltre la definizione? E' reversibile? La speranza torna mai indietro? Troppe domande per un mondo poco prodigo di risposte. Molto più semplice definire, spiegare senza necessità di contestare, senza compromesso alcuno: così dice il dizionario, così è la vita. C'est la vie.

Quello che so è che è facile parlare di accettazione. Facile parlare di inevitabile, di ineluttabile. Facile parlare di andare oltre il limite, di guardare al di là del muro. Lo so, l'ho ripetuto spesso anch'io. D'altra parte, cos'altro si può dire in certi momenti? Invitare a sopportare ed a portare pazienza è la via più semplice. Un sorriso ed un abbraccio curano molte ferite.

Già, ma non tutte le ferite. Portare pazienza a volte rende l'animo sereno, altre umile e rassegnato. Non sempre dopo la prima caduta ce n'è un seconda. Bisogna rialzarsi per cadere ancora.

Ci sono problemi che non hanno soluzione, e vie che non hanno nessuna uscita. Ci si fa forza e si dice che c'è sempre un lato positivo, sempre qualcosa di peggio che potrebbe accadere. Ma quando il relativismo non serve più a nulla che succede?

Davvero arriva sempre il cacciatore?

Troppe domande senza risposta. Volti il capo e dove c'era il sole all'improvviso ci sono solo vicoli ciechi. Ma questo forse non è più materiale da blog, forse non è giusto aprire al mondo questi pensieri, permettere ad altri di provare la stessa angoscia. Ma quante cose sembrano sbagliate oggi... forse domani tornerà il sole. O forse no.

Dopotutto, c'est la vie.

giovedì 22 febbraio 2007

C'est vous, c'est moi.

Questo test molto carino viene dal bellissimo blog di Alessandra. Quando l’ho letto, ho subito pensato che fosse una bella occasione perché voi conosciate meglio me ed io meglio voi… perciò vi invito, oltre che a leggere e se volete dirmi che ne pensate, soprattutto a copiarlo e farlo anche voi e poi pubblicarlo sui vostri blog o, se non ne avete uno, mandarmelo via mail… il mio indirizzo lo trovate sul mio account in EFP, il link è nella colonna di sinistra… non fatevi pregare, mi piacerebbe davvero conoscere qualcosa di voi…


Ora? 19.10 ora italiana

Nome? Nathaniel… il secondo, il primo mi riservo di tenerlo nascosto… ma non vi offenderete vero?

Soprannome? non ne ho nessuno, solo diminutivi del nome di battesimo

Quante candeline sull'ultima torta? 23, così dice l’anagrafe, ma a volte credo di avere 13 anni, altre 95.. Sarà normale? D’altra parte, quantificare il tempo è un’invenzione umana…

Hai mai fatto una pazzia? Molte volte, e non sempre alla fine si sono rivelate tali

Sei credente? Molto

Colore preferito? Mi piacciono tutti i colori… forse giallo, forse arcobaleno… odio il nero.

Cosa ti rende felice? Ilenia, svegliarmi ogni mattina, i miei amici, la mia famiglia, il gelato in agosto, dare una mano a qualcuno, i libri, scrivere, rendere felice qualcuno, camminare a Torino la mattina presto quando la città si sveglia, leggere il giornale con il caffè sotto il naso, una serata tranquilla a chiacchierare, i bambini, i sogni ma anche i risvegli, gli inizi, i progetti, le albicocche mature, le montagne d’inverno… e tante altre cosè in realtà.

Il tuo ricordo più bello? Tutti, perché sono pezzi della mia vita, belli o brutti che siano.

Quello che ti ha fatto più ridere? Quando abbiano ridipinto le pareti di casa. E’ stato quando ho scoperto che le fanciulle della casa battevano i maschietti in quanto a fai-a-te 4 a 0. E anche che la vernice indelebile è davvero indelebile.

Hai un animale domestico? Una gatta rossa.

Se fossi un personaggio famoso chi vorresti essere? Patch Adams, Nelson Mandela, Pasteur, Enzo Biagi, Victor Hugo, Gino Strada

E un animale? … non saprei

E un amico / conoscente? Vorrei essere una parte di tutti. Vedo quasi in tutti quelli che mi circondano una mia carenza riempita, e la vorrei colmare… ma non sempre si riesce ad imparare dal prossimo.

Chi ti hamandato questa mail? Ho copiato il test dal blog di Alessandra… grazie mille cara amica virtuale :)

Chi sarà il più veloce nel rispondere? Basta che tutti rispondiate…

E il più lento? Come sopra… l’importante è cosa, non quando…

Cocktail preferito? Non bevo superalcoolici, solo vino.

Dolce o salato? Salato

Gelato preferito? Melone.

Momento della giornata preferito? Mattino presto, quando albeggia e il resto del mondo dorme ancora.

Hai mai tradito? Mai.

Sei mai stato tradito? No… e non merito questa fortuna. (anzi, sono stato tradito ieri dal partito che ho sempre votato, sempre… ma mi riservo per domani un post in cui trattare diffusamente l’argomento.)

Giorno della settimana preferito? lunedì

Cosa cambieresti di te? Un milione di cose, sono profondamente imperfetto.

Hai mai preso una nota a scuola? Sono un tipo piuttosto ligio alle regole, ma sì, ne presi diverse per dissidi con una professoressa.

Sei puntuale? Troppo “la vita di chi è puntuale è una lunga sequela di solitudini immeritate” (non ricordo chi l’abbia detto)

Di cosa non puoi fare a meno? Amici, famiglia, Ilenia, libri e caffè.

Hai un amico/a del cuore? Cosa vuol dire…? Una persona che ti ami nonostante quello che sei e ti comprenda a fondo? Una che tu preferisca alle altre? Nel primo caso, tanti, Ilenia prima di tutti, Marta, Manuel, Alice, Janko… Nel secondo, no.

Hai mai invidiato qualcuno? No, ma ammiro molto spesso molte persone.

Ti piace di più ricevere o fare regali? Farli. Odio riceverli, mi mette in imbarazzo.

Festa preferita? Natale, decisamente.

Cosa non sopporti? La crudeltà immotivata, l’ottusità, le ingiustizie, le vendette, i giudizi affrettati. E a volte non sopporto me stesso.

Libro preferito? Troppi per essere elencati.

Estate o inverno? Inverno.

Se vincessi un milione di euro? Regali, tanti, a tutti, soprattutto a chi ne ha davvero bisogno, e mi pagherei gli studi finalmente con tranquillità.

Peggiore sensazione al mondo? Non poter fare nulla per risolvere un problema.

Quanti squilli di telefono prima di rispondere? Ci credete se vi dico che non ho un cellulare? Li detesto. Su quello di casa rispondo subito.

Il tuo peggior difetto? Ne ho troppi elencarli. Davvero.

Hai tempo? Di solito meno di quello che vorrei, ma ci sono periodi, come questo, in cui mio malgrado ne ho troppo.

Il tuo miglior pregio? Mah… non saprei davvero. Non so nemmeno se ne ho. Forse che sorrido sempre.

La frase che ti identifica? “Nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni” (P. Coelho)

Hai piu' amici o amiche? Direi pari merito.

Vorresti dire qualcosa di importante a qualcuno? Troppe cose a troppi… intanto, grazie a chi legge per chi mi sopporta, anche se non vi ho mai visti mi siete molto cari, grazie, grazie a tutti, c’è qualcosa per cui dovrei ringraziare tute le persone che conosco.

Rispondete, mi raccomando…

lunedì 19 febbraio 2007

Le Parole

Dopo un grande dolore viene un senso solenne,
i nervi stan composti, come tombe.
Il cuore irrigidito chiede se proprio lui
soffrì tanto? Fu ieri o qualche secolo fa?
I piedi vanno attorno come automi
per un'arida via/ di terra o d'aria o di qualsiasi cosa,
indifferenti ormai;/ una pace di quarzo come un sasso.
Questa è l'ora di piombo, e chi le sopravvive
la ricorda come gli assiderati rammentano la neve;
prima il freddo, poi lo stupore, infine
l'inerzia.

-E. Dickinson-


Momenti di nostalgia, di quella malinconia persistente che non si annienta solo cambiando argomento. Lei rimase per tutta la vita chiusa praticamente in una sola stanza, ma aveva occhi più penetranti dei nostri che vedevano le cose oltre le forme, la vita oltre l’apparenza. Un’intera esistenza in un piccolo paese dell’Inghilterra di re Edoardo, la vita di una donna nei secoli addietro senza alcuna prospettiva, e nonostante ciò lei conosceva le parole che avrebbero raccontato oltre 100 anni dopo il mio stato d’animo… molto meglio di me.

sabato 17 febbraio 2007

Limpido ma opaco, il colore del tè profuma di fuoco, di notte, una sensazione avvolgente e liquida d'eternità ricorrente. Un ombra è ferma sul tetto di fronte, forse un folletto da una terra sconosciuta, forse un desiderio incacellabile, un rimpianto mai scomparso, una speranza che giunge o fugge via. Al buio, tutti i pensieri sono più plausibili, tornano le paure ancestrali e le gioie recondite, impronte di memorie che non sapevamo più d'avere. Il mondo corre fuori, io resto dentro invece, ma quando la mente scivola nell'infinito binario della parola, l'importante è solo essere pronti ad ascoltare.
Al viaggiatore del segno giunto fino a qui, una notte serena.

venerdì 16 febbraio 2007

Brevissima nota. Oggi il maggiore dei miei nipoti compie sei anni... auguri ranocchio!

giovedì 15 febbraio 2007

Porta Nuova, il sole freddo, i tram affollati, i portici, le forme oniriche dei palazzi liberty, in una parola, Torino e casa, di nuovo. A volte si va via per settimane intere e quando si torna pare di non essersi mai allontanati, altre invece poche ore sembrano anni interi.
Troppo eternalista? Forse sì, ma, tralasciando dodici ore che come speravo ricorderò negli anni a venire, ho ricevuto una bella, splendida notizia: Ilenia ha chiesto la tesi, si laureerà in luglio, e poichè il suo corso è triennale, si può ragionevolmente affermare che il suo percorso scolastico è terminato, che presto troverà un lavoro, e comincerà la sua vera vita. Queste considerazioni non hanno potuto fare a meno di portare i miei pensieri al di là di qusti anni, a quello che potrebbe essere, a crescere ancora, desiderando di crescere insieme, di fare un passo avanti, e mi è venuta un'idea, un'idea a proprosito di quel quattoridici luglio che deve venire, e che sarà così importante per lei, per noi.
Come la maggior parte delle mie idee, assomiglia pericolosamente ad una follia, e questo mi porta ad una domanda: perchè il mondo vuole che tutti siamo realisti?
Voglio dire, cosà ci sarà mai di così vantaggioso, di così giusto nell'essere realisti ad oltranza, sempre? Certo, non si fanno progetti sulle fantasie, ma le stesse fantasie non sono indispensabili? Ogni passo avanti è stato, prima di essere un successo, un sogno, ogni risultato in atto è una fantasia in potenza. Sognare non vuol dire non vedere le cose come stanno, solo cercare di afferrare la prospettiva migliore, solo sopportare le difficoltà perchè si ha la speranza che ci saranno cose migliori. Cosa ci sarà mai di buono nell'essere pessimisti? Si sta male prima nel dubbio che ogni cosa potrebbe non funzionare, e male dopo temendo che qualsiasi successo presto o tardi su sgretolerà. Accettare la realtà così com'è non fa altro che lasciarci privi di stimoli per renderla migliore.
Con questo, immagino di avere sproloquiato a sufficienza. Mi è mancato questo spazio per la mente. Questo viaggio fulmineo è stato meraviglioso, fatta eccezione per qualche piccolo problema con i treni, peraltro assolutamente prevedibile. Roma è una città magica, ricca di emozioni che da lontano hanno viaggiato per giungere a noi inalterate, una città dal grande spirito. E poi, ogni luogo che sia teatro di avvenimenti importanti della nostra vita è ancora più amato, raggiunge per noi il ruolo di un exempla insorto ai più eccelsi livelli di perfezione, e non importa come sia davvero, è così che noi lo vedremo sempre.
A volte bisogna essere prudenti, chiudere la porta sui sogni e pazientare, altre volte è giusto correre e rischiare, di vincere o di cadere, ma come si fa a capire qual'è la strada giusta? Un lupo può travestirsi da cacciatore buono?
Mi siete mancati, sapete?

lunedì 12 febbraio 2007

Non mi piace ricevere regali, e non mi piace ricevere sorprese, ma farle è una delle cosa che amo di più, vedere il viso di una persona a cui tieni illuminarsi ripaga ogni sforzo. Per domani è tutto definito. Partenza da Torino ore 23.o5, Roma Termini ore 09.42, spero a seguire qualche ora che ricorderemo negli anni, ritorno ore 21.16, Torino ore 07.20. Una follia su tutti i fronti, economia, tempo e soprattutto salute, ma questo è l'amore, follia, imprudenza, nessuno spazio alla ragione, giusto o sbagliato che sia. Come vedete, l'ultimo dei romantici sopravvive. Felice San Valentino a tutti.

sabato 10 febbraio 2007

Il buon padre Valentino

Greci ed Italici festeggiavano, il giorno quinidici del mese che oggi chiamiamo febbraio, una ricorrenza pagana che celebrava la fertilità. L'idea di demonizzare l'atto sessuale era ancora lontana dalla mentalità comune, e la civiltà prosperava. Poi la chiesa cattolica, ancora lontana dal concetto di ecumenismo, decise di abolire quel rito, ritenuto orgiastico ed immorale, e persino di vietare in quel periodo le unioni matrimoniali: insomma, venne abolito, per un breve periodo, l'amore. Qualcuno, tuttavia, non fu d'accordo: il buon padre Valentino, innamorato dell'amore, nonostante la bolla papale decise di celebrare ugualmente unioni che fossero desiderate in nome di un sentimento sincero e genuino. Da lui inoltre ebbe inizio la consuetudine di offrire alla spose rose rosa pallido, colore che rappresenta allo stesso tempo la bianca purezza della giovane sposa e la passione dell'amore che la unisce all'uomo che dividerà con lei la propria esistenza.
Il buon padre Valentino morì da martire, ma il culto della sua persona e di quelli che la gente chiamava "miracoli d'amore" si era diffuso come un incendio, ed il nuovo papa, forse con il cuore riscaldato dall'immagine di tutte le famiglie che grazie al buon Valentino si erano formate, decise di dedicare proprio a lui un'intera giornata, che precedeva di un'unità la ricorrenza pagana: il quattordici febbraio, festa del patrono di ogni innamorato.
Pur convinto che oggigiorno questa festa sia tale soprattutto per l'industria dolciaria, credo che sia giusto ricordare questa storia. Si festeggiano tante insulsaggini ai nostri tempi che non vedo perchè non si possa celebrare ugualmente la più pura delle emozioni, magari senza doni o cioccolata ma apprezzando di cuore il tempo trascorso con l'amata/amato.

Per il giorno di San Valentino io progetto l'evasione, anche se non ho ancora avuto modo di definire alcuni dettagli fondamentali. Ho avuto la fortuna di incontrare una persona che da anni ormai dimostra di possedere l'ingente pazienza ed il coraggio necessari a sopportare il sottoscritto, impresa certo non priva di difficoltà, e posso affermare che solo grazie a lei ho imparato abbastanza da poter stare a pieno titolo nel mondo degli adulti. Qualunque cosa io faccia, ho sempre l'impressione di essere in debito con la sorte che mi ha concesso di avere lei nella mia vita, pertanto so che il gioco vale senza dubbio la candela. E voi, che farete a San Valentino? Concludo sperando che sia una giornata felice per tutti. A presto.

mercoledì 7 febbraio 2007

Dedicato a voi.


Questo è uno dei miei quadri preferiti, forse perchè quando le cose si fanno difficili, è in un posto del genere che vorrei riparare per un po'.

La giornata di oggi ha avuto i suoi bravi risvolti comici... dovrei iniziare a fidarmi meno di me stesso.
Piccoli problemi domestici. Da qualche giorno, il fornello non funziona bene, la piastra elettrica non si scalda a dovere, e si impiegano ore per cucinare.
“Nessun problema“ mi dico “ci penso io.” Da buon imbranato, credevo di avere capito quale fosse il problema, così, attrezzi alla mano, mi sono messo all’opera, ho svitato, scollegato, scambiato.
Chi pensa che gli uomini siano naturalmente in grado di riparare i piccoli guasti di casa, di certo non ha mai incrociato la mia strada. Per quanto mi riguarda, tutti gli oggetti di questo mondo si possono dividere in due categorie, quelli che ho già rotto e quelli che romperò. Il guaio è che spesso me ne dimentico, e lieto e speranzoso ritento senza scoraggiarmi.
Per farla breve, questo è il bilancio dell’opera:
-mi sono quasi elettrificato
-la piastra si scalda meno di prima
-non sono stato nemmeno capace di rimontarla, e c’è uno strano prisma nero con estremità cuboidi appoggiato sul tavolo di fronte a me, che se potesse non smetterebbe un momento di ridere poiché lui è di nuovo libero, ed io non posso che augurarmi che il posto che prima occupava nella struttura del mio fornello non fosse così importante da comprometterne la funzionalità o la sicurezza.
Ma come si può essere così imbranati???

Il resto del tempo è passato tra studio per il prossimo esame, a fine mese, e la rielaborazione del prossimo capitolo di una fanfiction, quasi pronto per l’uscita allo scoperto, spero senza infamia.
Oltre ai lati comici, tuttavia, ci sono state anche notizie meno piacevoli. La sgridata che temevo è giunta oggi con tanto di fanfare e pennacchi insieme alle brutte notizie, e colpevoli entrambe le cose, ma anche poiché mi sono meritato bacchettate sulle dita, il confino ha ora una durata: trenta interminabili giorni. Qualcuno ha voglia di consolare un imbranato degno di nota? Ne sarei grato, in questo momento c'è troppo silenzio, qui.

Per essere più seri, oggi ho letto articolo in cui si diceva che fosse “impossibile chiamare amico una persona prima di avere toccato con mano ogni fibra del suo essere”. Io non credo che sia vero, ed in questo proposito c’è una cosa che vorrei dire, solo un pensiero visto che oggi ho scoperto che in tanti avete avuto la pazienza e la cortesia di leggere i miei sproloqui semiquotidiani, sopportando stoicamente gli errori, ciò che non è logico, ciò che sembra assurdo, irreale, ciò che eccede, ciò che manca, quello che è poco e quello che è troppo: in breve, avete avuto la pazienza di sopportare me. Le parole sono come palloncini, si usa tutto il fiato di cui si dispone per farle crescere, ma a volte non riescono a volare abbastanza in alto. Spero che questa volta raggiungano il cielo… Per Gea, Mara, Alessandra, Noemi, per chi è stato qui e per chi verrà, se state leggendo vi ringrazio di tutto cuore, con sincerità, e spero di potere in qualche modo ricambiare. Legatevi al polso queste parole, lasciatemi sperare che non volino via.

martedì 6 febbraio 2007

Un regalo

Camminavo verso casa dopo l'esame (è andato bene, per fortuna) quando ho visto una giovane donna camminare lungo il marciapiede dal'altra parte della strada, carica di borse di plastica, uno zaino sulle spalle, una scatola di cartone dall'aria pesante in mano. Non ho saputo resistere, mi sono avvicinato e le ho chiesto se voleva una mano. Lei mi ha squadrato, forse si chiedeva chi fossi e che diavolo volessi da lei, in effetti non avevo un'aspetto rassicurante stamattina.
"Perchè?"
"Mi sembri carica, tutto qui."
Mi sorride. Deve avere pensato che fossi matto.
"Sto traslocando. In autobus, non ho la macchina."
"Ti accompagno, se vuoi."
Uno sguardo interrogativo, mentre io mi pento perchè sto contravvenendo a tutte le condizioni che mi erano state poste per uscire oggi. Tuttavia, la tentazione è stata troppo forte, mi sembrava così affaticata, così stanca.
"Grazie. Non è lontano. Ho affittato un furgone per i miei quattro mobili, ma per il resto ho preferito arrangiarmi così."
"Non c'è nessuno che ti aiuti?"
"Sono solo due mesi che vivo a Torino. A parte i colleghi, non conosco nessuno qui. Sono Monica."
Ora conosci me, ho pensato. La conosco bene quella sensazione, un posto nuovo, volti sconosciuti e l'idea di essere sperduti nel vuoto. Io sono stato immensamente fortunato ad incontrare qui tutte le persone incantevoli e speciali che popolano le mie giornate in questo luogo che in effetti è ora casa mia.
Camminiamo in silenzio, quella scatola è davvero pesante. Qualche isolato dopo, ci fermiamo davanti ad un portone.
"Sono arrivata."
Non ho intenzione di salire, non voglio invadere il tuo spazio, non mi conosci nemmeno.
"Vuoi un caffè? Sei stato gentile, non mi hai nemmeno detto come ti chiami."
Forse non voglio dirtelo, sai. Così è più suggestivo, l'ho fatto perchè volevo essere gentile con il mondo, non volevo nulla da te. E poi se l'esimio dottor Giancarlo sapesse che ho bevuto caffè, che non sono tornato a casa, che ho collaborato ad un trasloco seppur per poco, mi ucciderebbe subito, seduta stante.
"Va bene" dico invece, perchè mi hai sorriso dolcemente, perchè questa è una giornata felice, perchè io sono felice, perchè questo forse è un regalo che qualcuno ha messo sulla mia strada.
Esco di lì mezz'ora dopo, avendo passato del tempo a parlare di tutto con serenità, e sono grato di avere dato a qualcuno la sensazione di essere, almeno un poco, non da solo, ma a casa.
Non ti ho detto come mi chiamo, sai, e forse non ci incontreremo mai più. Io certo non approfitterò di sapere dove si trova casa tua. Quello che conta, però, è che oggi eravamo lì.
Sono grato, molto grato, di tutte le possibilità che mi sono offerte, ogni giorno, di sorridere.
Tutti abbiamo bisogno di sorridere.

lunedì 5 febbraio 2007

Brevissimo sproloquio, forse generato dall'iperaffaticamento mentale. Domani ho un esame e mi concedo mezz'ora di pausa nel ripasso finale. Tra le altre cose, dopo avere lottato e insistito e giurato che avrei preso tutte le precauzioni possibili, da bravo ragazzo dotato di buon senso quale talvolta non sono, ho ottenuto dall'esimio dottore il permesso di uscire, appunto per sostenere il suddetto esame; in caso contrario, dopo aver studiato tanto, credo mi sarei ragionevolmente disperato.

Il breve sproloquio consiste in un'ode di ringraziamento a tutte quelle persone, figure professionale spesso bistrattate, che con il loro lavoro rendono più semplice la mia vita. A volte tutti siamo troppo nervosi ed irritabili, e loro ne subiscono le ingiuste conseguenze, il che li porta di quando in quando ad atteggiamenti scortesi di cui credo siamo noi, l'utenza che se ne lamenta così spesso, i principali colpevoli. E' così facile prendersela con loro attribuendo senza fondamento la responsabilità di disservizi di cui non hanno colpa. Un ringraziamento perciò di tutto cuore va:

-ai panettieri, che si alzano nel cuore della notte per preparare il pane

-ai conducenti di autobus e tram, il cui lavoro è decisamente ad alto tasso di stress (il traffico fa impazzire chiunque, figuriamoci chi lo sopporta per forza) e che spesso subiscono lamentele sulla mancata efficienza dei trasporti urbani di cui non hanno colpa... avere a che fare con il pubblico in modo così ravvicinato non deve essere facile

-agli impiegati agli sportelli delle poste, stesso discorso di cui sopra

-ai baristi di tutti i bar sotto casa, che con un caffè spesso elargiscono anche un sorriso, che sopportano con pazienza sfoghi e confessioni

-ai netturbini, che rendono più vivibile e più bella la mia città, verso il cui lavoro tutti, più o meno spess,o non dimostriamo adeguato rispetto sporcando e deturpando

-e non in ultimo, al personale ATA, ossia i bidelli e le bidelle, che sarebbe così semplice ringraziare per il loro lavoro con un sorriso ma che spesso subiscono arroganza e noncuranza

Non so da cosa sia nata questa riflessione, ad ogni modo il suo scopo era ricordare soprattutto a me stesso quanti lavorino ogni giorno per rendere più agevoli le mie giornate, e quanto sarebbe più complicato vivere facendo a meno dell'opera di tutte queste persone.

Un felice pomeriggio a tutti, soprattutto agli appartenenti alle suddette categorie ed a quelle che ho scordato di menzionare.

venerdì 2 febbraio 2007

Mi chiedo cosa, in fondo, renda l'uomo felice. Un uomo più saggio che poteva offrire al pensiero un nido più solido del mio disse che non c'è via alla felicità perchè essa stessa è la via.
Oggi è stata una splendida giornata, una giornata meravigliosa, limpida e brillante, e non parlo del tempo. In effetti, non ho fatto nulla che possa giustificare la mia gioia: solo libri e libri, e la reclusione è solo al secondo giorno e non so nemmeno quando finirà; nonostante questo, fuori il cielo era azzurro e qualcuno stanotte cantava per la strada. Il mondo sorrideva, quest'oggi, e mi sono detto che quasi sempre è il caso di alleggerire il cuore, nonostante tutti i nonostante cui sempre possiamo fare appiglio per giustificare il cattivo umore e la rabbia.
Quanto a me, ci sono così tante cose che non avevo ancora mai notato, fuori dalla finestra, perchè di corsa o perchè in buona compagnia, e non sapevo che stando fermo si sarebbero mostrate nè quanto sarebbero state belle.
A chi legge, auguro una notte serena.

giovedì 1 febbraio 2007

La casa è deserta. Alice e Marta sono tornate dai genitori per la sessione, e Manuel, il mio illustre compagno di stanza, è partito in ottobre per un Erasmus in Spagna, con l'ottima intenzione di imparare lo spagnolo ed ovviamente di sedurre quante più giovani iberiche le sue forze gli consentiranno.
Intorno a mezzogiorno, il telefono è squillato. Era Alice, in lite con il fidanzato a causa di una banale incomprensione, ma la frase fatidica è scoccata prima che potessi calmarla: "voi uomini siete tutti uguali."
Ma io dico, perchè quest'odiosa abitudine a generalizzare? Non tutti gli uomini sono bravi a mentire ed usano questo talento come risorsa, non tutti gli uomini tradiscono, non tutti gli uomini sono insensibili e pensano solo al sesso, non tutti gli uomini perdono la testa di fronte ad una bella ragazza, capito, signorine? Il cromosoma XY non porta il gene della disonestà.

D'altra parte, di cosa ci stupiamo? Persino le mogli dei nostri illustrissimi politici rendono pubblici i loro problemi personali, la rabbia nei confronti del maschio patrio e traditore. Da due giorni questa storia è in prima pagina su tutti i quotidiani, e ieri sera la rete ammiraglia della nostra televisione pubblica, Rai Uno, ha dedicato ben sette minuti alla vicenda durante il telegiornale di prima serata, sette minuti su trenta, il 23% del tempo a disposizione delle notizie di cronaca, che, peraltro, di certo non mancano. Ma forse il no della Gran Bretagna ad una mozione contro la pena di morte ed i continui disordini in un Iraq che diventa teatro dello scontro tra gli Stati Uniti e l'Iran di Ahkmadinejad sembravano meno rilevanti delle vicende sentimentali del Silvio nazionale.

Sono caduto nella solita trappola. Purtroppo, di fronte alla politica non so resistere, devo per forza dire sempre ciò che penso, anche quando è fuori luogo. Il fatto è che, mio malgrado, da oggi sono al confino in casa, un po' per lo studio ma soprattutto per altre, meno piacevoli ragioni, perciò, nonostante le pagine da apprendere non manchino, internet diventa una finestra sul mondo.

A proprosito di finestre, oggi sotto quella della mia camera da letto si è posizionato uno strillone, uno di quei giovani dalla voce tonante pagati per gridare ad alta voce le ultime notizie ed indurre i passanti ad acquistare il suo giornale. Finora ne avevo visti solo nei vecchi film in bianco e nero, mi ha affascinato. Aveva un cappotto nero di panno ed era molto giovane, mi sono chiesto se per caso non fosse un idealista aspirante giornalista che tentava di sfondare facendo gavetta, sarebbe stato molto romantico.

Immagino di avere infastidito abbastanza lo sfortunato lettore capitato fin qui. Grazie a chiunque abbia ascoltato il mio sproloquio e lo ascolterà in futuro. Immagino che tornerò al mio divano ora. Oggi però la mia casa mi è ostile. Sarà che i mobili, gli oggetti e le pareti percepiscono quanto in questo momento desidereri non vederli e non essere qui, e reagiscono con malizia e disappunto; tuttavia, e credo che questo sia universale, lo stesso luogo può essere rifugio e prigione, con lo stesso spirito, nello stesso modo. Spero che mi perdonino stanotte, ma forse tutto ciò è solo un'idea folle di una giornata tediosa.

mercoledì 31 gennaio 2007

Strani Incontri, ovvero il Signor Luigi

Oggi pomeriggio, ore dodici circa, ambulatorio pubblico del mio quartiere. Faccio il mio ingresso in sala d'attesa e mi sento male nel vedere che davanti a me ci sono ben diciotto persone che attendono il loro quarto d'ora d'attenzione da parte di un medico iperaffaticato dal superlavoro cui è di sicuro sottoposto. Si dice che un vero medico curi e rassicuri, ma a giudicare dalla ressa mi rendo conto che sarò fortunato se questo avrà il tempo di guardarmi in faccia. Ad ogni modo, non c'è nessun sistema all'italiana di evitare la lunga attesa nel deserto dei tartari, così mi accomodo e tiro fuori un libro per studiare e cercare di non buttare via tutto quel tempo prezioso.
Circa un'ora dopo provo la sensazione di essere osservato. Mi volto e mi accorgo che l'uomo accanto a me, un signore sulla settantina con un basco a quadretti calato sul capo, mi guarda fisso, è evidente che ha voglia di parlare. Gli sorrido, e comincia la tiritera di commenti sul tempo, "non ci sono più le mezze stagioni", sul governo, "sono tutti uguali, tutti ladri, sono finiti i tempi di Pertini", inevitabilmente sulla Fiat, visto che siamo a Torino, "cul fio l'ava da fa al sioumen, atar che al diretur d'la fabrica" (traduzione: quel ragazzo, non so se si riferisse a Lapo oppure a John Elkann, avrebbe dovuto fare lo showman e non il direttore di una fabbrica), poi finiamo al calcio. Grande sorpresa: siamo entrambi juventini, entrambi piuttosto appassionati. Dopo i commenti di rito sull'apparente incapacità della nuova dirigenza in merito di calcio-mercato, un paio di doverosi elogi ad Alex Del Piero e a Gigi Buffon ed un breve cenno al triste pareggio di sabato scorso, ci spostiamo su di un tema piuttosto scottante per ogni tifoso della Vecchia Signora: Calciopoli, o meglio, Moggiopoli. A quel punto, il signore alza decisamente il tono ed infervorato esclama "Ma quale corruzione e corruzione! Dodici anni non si cancellano! Onore e gloria alla Triade!". Mi ricordo di aver letto la stessa frase su di uno striscione in curva all'inizio del'infame anno nella serie cadetta. Pur rimpiangendo io stesso l'acume del "buon" Luciano negli acquisti, mi permetto di fargli notare che quello che Moggi e Giraudo hanno fatto dovrebbe essere una vergogna per ogni appassionato di calcio, che in quel modo si perde lo spirito dello sport e che guardare una partita truccata non è poi così appassionante. Sarà pur vero che non agiva da solo, che anche Milan e Inter avranno avuto il loro ruolo, ma il fatto che solo la Juve sia stata scoperta non rende la colpa meno grave, e giusta è la punizione. Sdegnato, il signore, che nel frattempo ho scoperto chiamarsi Luigi, mi dice che io non sono un vero tifoso, che dovrei cambiare squadra se è così che la penso, e sta per cominciare un'invettiva che immagino non raggiungerà alti livelli di lirica poetica quando viene chiamato dall'infermiera, finalmente è il suo turno. Leggermente perplesso, torno al mio libro.
Intorno alle sedici, in effetti non troppo rassicurato, mi avvio ad un'altro ambulatorio per prenotare alcuni esami, e non oso pensare alla nuova attesa che di sicuro mi toccherà. Incredibilmente, giunto a destinazione (proprio vero che tutto il mondo è paese) qualche posizione davanti a me c'è il signor Luigi, che concitato discute con una donna lì accanto. La parole "Triade" si distingue più volte nell'aria.

In cosa tutto questo può interessare al malcapitato che legge questo post? Lungi dal desiderio di rendere edotto suddetto malcapitato su come ho trascorso il pomeriggio, la questione focale è la riflessione che l'incontro con il signor Luigi mi ha suggerito a proposito dei miti moderni.
Una volta, c'erano idoli ed ideali per i quali tutti erano pronti ad immolarsi, Gesù Cristo, Che Guevara, la libertà o l'indipendenza della propria patria, un amore cavalleresco, il desiderio di un ordine sociale superiore. Giusti o sbagliati che fossero, davano la forza di lottare, il coraggio di mutare in azioni i propri pensieri. Oggi, non saremmo pronti ad alzarci dalla nostra poltrona nemmeno per difendere i nostri genitori o figli, figurarsi combattere perchè i fondamentali diritti del'uomo sono violati, di fronte a noi oppure in qualche angolo sperduto del mondo.
Il signor Luigi, pur accalorandosi per un mito a mio parere fasullo, pur difendendo un'indifendibile, era lì che proteggeva di nuovo con le unghie e con i denti la propria fede. Lui ha qualcosa che oggi è scomparso fra i più: un cuore che batte per un ideale ritenuto superiore, non importa se si tratta solo di calcio. E' stato bello, per una volta, incontrare un uomo che ancora sa vivere di passione.

martedì 30 gennaio 2007

Oggi mi sono svegliato ed ho pensato che fosse una giornata assolutamente perfetta. C'era il sole a Torino, e seppur gelida l'aria era limpida come se fosse agosto inoltrato. Da lontano, si vedeva la collina con le case minuscole e le strade grigie che sembravano rughe.
Oggi era una giornata perfetta perchè avevo in programma di tornare a casa, dopo cinque interminabili mesi di lontananza, ma si sa che le cose non vanno mai come le si desidera, e con la valigia in mano ho dovuto abbandonare il mio progetto, e l'idea della famiglia riunita e del giardino di casa, lo stereotipo del fuoco accesso e del gatto sulle ginocchia che in effetti non sono poi così lontani dalla realtà, sono svaniti.
Pazienza, mi sono detto, la strada è sempre là. Tornerò dopo gli esami. Mestamente ma con serenità mi avviavo a casa, passeggiando per godere del sole e non stiparmi nell'assembramento di un tram nelle prime ore del pomeriggio, quando ho visto una donna sulla soglia di casa, che puliva alacremente con la scopa alla mano, il che non è uno spettacolo frequente nel centro urbano.Era una donna di proporzioni più che massicce, con un consunto abito a fiorami e capelli arruffati, il viso consumato.
Mi sono chiesto cosa pensasse, mentre spazzava la soglia della sua casa in mezzo a tante altre case, se qualcuno l'avesse mai amata davvero, se qualcuno l'avesse mai fatta sentire una donna. Probabilmente mi sono lasciato trascinare dal suo aspetto, ma anche l'espressione era insoddisfatta ed arrabbiata col mondo. Per un momento avrei voluto avvicinarmi ed abbracciarla, nonostante il suo aspetto fosse disordinato e sporco, e dirle che m'interessavano i suoi pensieri, sapere per quale motivo si alzasse ogni mattina ed accertami che non si sentisse sola perchè io l'avrei ricordata. Volevo proprio rassicurarla, ma era un'idea folle, lo so bene, dove vivo un sorriso per strada è considerato un gesto profano.
Non mi accade così spesso,non due volte in una settimana, e non ci sono abituato, ma, arrivato alla casetta di città, mi sono sentito molto triste, per quella donna e chissà cos'altro.

lunedì 22 gennaio 2007

Ci sono momenti di tristezza assoluta e profonda, in cui rivolgere lo sguardo in avanti è troppo faticoso, e non si trova la forza di porsi domande. Forse dovremmo avere più fiducia, giacchè è dal dubbio che arrivano le risposte. Anche avere fiducia, tuttavia, richiede grande impegno. Non a tutti i problemi c'è una soluzione.

lunedì 15 gennaio 2007

Una frase

Una frase è composta di poche parole, è piccola piccola, ma capita che l'impronta che lascia sia invece grande e profonda.
Oggi ho sentito un uomo che ammiro dire che "se non si va a letto alla fine di una giornata con le ossa rotte dalla fatica ed il cuore che batte forte, vuol dire che c'è qualcosa che si sarebbe potuto fare e non si è fatto, e che non si è vissuto abbastanza".
Spero da domani di avere la forza di capire quanto sia prezioso ogni attimo del tempo che mi è concesso.

sabato 13 gennaio 2007

Che dire.. questo è l'inizio, l'anno zero. Di che cosa? Ma di una condivisione globale, è chiaro. E se ci chiediamo se sia giusto, se sia etico rendere pubblici i propri pensieri in modo incontrollato, l'unica risposta possibile è che "non c'è cosa buona o cattiva che non sia stato il pensiero a rendere tale." Vorrei che queste parole fossero mie, ma, disgraziatamente, non lo sono.

Se qualcuno è capitato qui, non posso che accoglierlo con calore.

A te che leggi, benvenuto a casa mia, benvenuto nella mia testa. Spero che da questo nasca qualcosa di buono. Per ora non c'è altro, ma torna presto, avrò qualcosa di meglio per te.

venerdì 12 gennaio 2007

vi racconto casa mia


Il quartiere si chiama Borgo S.S., e merita di essere raccontato perché in esso c’è vita come non ne ho mai vista altrove.
Il nome di S.S. è quello della chiesa più importante della zona, dedicata ad un santo che non molti ricordano. San Salvatore, nella vita, non ebbe mai fortuna, e dopo la morte dei genitori lavorò come calzolaio per mantenere la sorella più giovane senza mai perdersi d’animo. Mai nome fu più adatto a descrivere un luogo.Il cuore pulsante di S.S. è la stazione, delimitata da quattro imponenti arterie di traffico ma anche, talvolta, di sangue, che sono le principali vie di transito della città. E’ situata in uno splendido edificio ottocentesco, con imponenti facciate che un tempo devono avere avuto colori chiari e freschi ed ora sono ingrigite e stanche, forse per i fumi che le hanno rese opache e sporche, forse, come credo, per il peso di tutta la vita che ogni giorno, in tanti anni, è scivolata attraverso di loro, un gravìo di sofferenze e speranze troppo spesso disilluse che nemmeno loro, tanto grandi e forti, hanno potuto sopportare. In stazione c’è sempre movimento, un infinito viavai di persone che corrono, camminano, passeggiano, alcune con una meta, altre con il disperato desiderio di averne una, lo stesso consueto spettacolo che si osserva in un luogo di passaggio di una qualsiasi grande città come la mia. Ad ogni passo qualcuno chiede, con sguardo spento e colmo di risentimento, elemosina e carità, dice di aver perduto il portafogli e di dover tornare a casa, e chi ascolta sa che non è la verità, vivere da queste parti insegna a trovare in un solo sguardo le risposte che occorrono, ma l’espressione del viso e la bramosia negli occhi, l’obbligo di adempire a necessità che, se disattese, possono costare la vita, sono dettagli che non sfuggono ad un occhio attento, e alla fine si concede lo stesso quanto si può, perché qualcosa, nel tono implorante di quella richiesta, rende chiaro che una sola moneta in quella mano tesa varrebbe molto di più che in una tasca polverosa ed in buona compagnia; c’è poi chi, più fortunato, cerca con impegno di vendere qualcosa, un paio d’occhiali, una borsa fasulla oppure un quadretto fatto a mano, e ci sono le famiglie con bambini e valigie e borse di plastica rattoppate, ed i forestieri che non sanno dove andare e chiedono indicazioni su quel treno o quel tram, c’è chi parla troppo ed infine c’è chi non ha più voce, le ombre nascoste, le anime straziate
.Sono loro l’anima del mio quartiere. La sua particolare architettura romana di grandi vie unite da stretti budelli nascosti a sguardi inesperti ne fa un perfetto rifugio dove scappare quando alla stazione la situazione si fa difficile, oppure di notte, quando è deserta. Due corsi enormi, un fiume ed un parco delimitano questa piccola zone franca, un dedalo di viuzze che s’incrociano, e che, anche se sono quasi tutte parallele, sembrano sempre cambiare di posto per confondere un forestiero, e quando scende la sera s’incrociano e si scambiano di posto senza farsi scoprire e rendono difficile trovare la strada di casa. Il mio quartiere si trova nella Repubblica, ma non è Italia, gli italiani sono spariti, a poco a poco, hanno venduto le loro case, avevano paura forse, non capivano più l’anima perduta della loro terra, di questa piccola fettina di città. Pochi sopravvivono, qui, ma degni di nota. Uno di loro si chiama Ennio, ed è il titolare di una libreria incastrata a fatica tra una bottega di stoffe ed un fruttivendolo, il sostentamento del corpo affiancato da quello dello spirito, una vetrina che non è più trasparente da tempo, un occhio cieco su scaffali e scaffali colmi di parole, fantasie, ideali. Da cinquant’anni fa il libraio, ha visto due guerre, ha avuto una moglie, cinque figli, e non si è mai mosso da lì, sempre a vendere i suoi libri mentre i suoi capelli diventavano bianchi. “Io non sono un commerciante” ripete spesso “Io non vendo semplicemente cose. Quello che mi passa tra le mani dà assuefazione, scalda, porta sangue al cuore. Io sono uno spacciatore di sogni.“ Siamo diventati amici, un acquisto dopo l’altro, ogni tanto mi offre un caffè, ed a volte mi racconta dei suoi libri preferiti, pagine di carta che ha amato come linfa, parole di cui ha vissuto, guide cui ha permesso di orientare ogni giorno i suoi passi. Jane Austen, Utopia, le Città Invisibili, sono solo alcune delle tante voci che hanno popolato la sua lunga vita. Lui non ha paura degli stranieri che ora vivono qui, e mi assicura che le paure sono solo fantasie, che la gente può essere crudele, è vero, ma i pregiudizi lo sono molto di più, e non si può che credere ad un uomo che ha fatto la guerra, il disertore e poi il partigiano, che ha rischiato la vita per difendere i propri principi e la propria patria, perché se non è così che si dimostra amore per la propria terra, se non è un uomo del genere a conoscere la vita, allora nessun altro ne può sapere qualcosa.
Solo loro, gli stranieri, che danno vita alle strade ed alle vie. Nel mio quartiere ci sono un milione di colori, suoni e profumi, ci sono mediorientali, centrafricani, indiani, cinesi ed europei dell’est, ed ognuno ha dato il suo personale contributo, con un negozio, con un abito, un’acconciatura, un nuovo accento. Per la strada, tra le finestre, nei cortili fulminati dal sole, si sente un vocio ininterrotto di mille lingue diverse, quelle dai toni alti ed accesi e quelle flautate che sembrano una musica, i dialetti, ed in tutto questo anche l’italiano un po’ stentato ed un po’ cantilenato di chi impara senza desiderio perché non può amare un paese che si rifiuta di accoglierlo.Qui il commesso dell’esistenza srotola in suo più ampio campionario, ci sono operai, venditori ambulanti, medici, immigrati illegali e docenti universitari, ci sono i market cinesi o marocchini, le pizzerie, i venditori di kebab, i sexi-shop e le aule dell’università e le case degli studenti, c’è un posto per tutti, qui, è la città che non ha posto per il quartiere, per loro, per noi che non vogliamo scappare.Avah è la mia vicina di pianerottolo. E’ nigeriana, ha ventisette anni e tre bambini che non vede da due. Assiste un uomo anziano che vive in collina, e di notte fa le pulizie in un supermercato e manda ogni centesimo che guadagna alla sua famiglia perché vuole che i suoi bambini possano frequentare la scuola. Non dorme mai, ma ha trovato il tempo di insegnare alle mie coinquiline a preparare le specialità deliziose della sua terra, il tè profumato e le spezie dai colori caldi. Da allora, un po’ di S.S. è entrata in casa mia.
Casa mia. Anche lei vive da queste parti, e vi giuro che ne è felice, ed anche se le sue sorelle che stanno in precollina o dalle parti di Via Roma sembrano molto più curate, non vorrebbe fare scambio per nulla al mondo. Noi le vogliamo bene. L’anno scorso abbiamo ridipinto le sue pareti con colori brillanti, ed ora sembra un uccello esotico strappato dalla sua foresta tropicale, ma ha trovato la sua vera identità, in linea con il condominio, dove, per le scale, sembra un po’ di essere a Rabat ed un po’ sulla Luna di Astolfo, quella delle Cose Dimenticate e Perdute, con l’androne dove nei giorni di mercato il vento porta foglie di lattuga verdi e carta colorata, con l’albero cui sono appese foglie d’alluminio che luccicano al sole. I muri esterni sono un po’ scrostati, è vero, ed i balconi sembrano cadenti, ma quando si avvicina Natale, sul pianerottolo, con Avah e le due famiglie con cui condividiamo il nostro piccolo angolo di mondo, si allineano i tavoli e si cena insieme, Avah prepara il cous-cous, noi portiamo il panettone e Adriana e Tomasz che sono rumeni preparano dei dolci deliziosi, mezza albicocca con intorno zucchero e pastafrolla, il paradiso dei sensi.
Di mattina si sente il profumo del caffè, del pollo arrosto del mercato, dello smog e del fiume che non è così lontano. Il mio quartiere è un crogiuolo che ribolle di profumi e storie.
Tuttavia, non è finita qui. Nel mio quartiere ci sono anche i criminali, i ladri, gli spacciatori, le prostitute ingannate e disperate, e talvolta ci sono anche gli assassini. Di notte non è raro vedere qualcuno confabulare in un anfratto, mani che febbrili passano un pacchetto da tasca a tasca, giovani e meno giovani sdraiati a terra, lo sguardo spento, l’orizzonte che si è avvicinato troppo ormai perché si possa ancora chiamare futuro, e ci sono ragazzi che fumano erba per le strade, perché non è che la polizia passi molto spesso da queste parti.Senza giustificare chi infrange la legge, vivere qui fa scoprire che esistono due specie di criminali, quelli che scelgono questa strada perché redditizia, facile, comoda e veloce, perché per questo “lavoro” non si deve faticare, e quelli che hanno la paura negli occhi e la colpa nel cuore, ma nessuno dei due può zittire la fame.
Quando c’è il sole, a S.S., si cammina sotto i portici, i ladri e gli studenti, chi è onesto e chi non lo è, chi si è appena alzato e chi va a dormire, e c’è chi passa di qui per necessità e cammina in fretta, le mani strette spasmodicamente su borsette e tasche posteriori, ma chi vive da queste parti quando c’è sole li vede, i sorrisi impercettibili, e ricambia di cuore, con un senso d’appartenenza a questo microcosmo che dalla città è stato generato, che la guarda negli occhi, e ancora no, ancora non la ama né è riamato, ma che altro si può fare se non vivere nella convinzione che la storia vada sempre avanti, ed insieme con essa la mentalità comune? Camminando ogni giorno, osservando chi passa accanto con un poco di poesia, ci si rende conto che ogni vita è straordinaria, che ognuno meriterebbe di essere raccontato. Io non ho ancora finito di scoprire.